Il dolore è una percezione somatica che indica un segnale di pericolo per l’uomo; pertanto svolge una importante funzione per l’adattamento. Percepire e anticipare il dolore, infatti, implica l’attuazione di una serie di comportamenti per la sopravvivenza. Pensiamo a cosa succederebbe se non provassimo dolore nel momento in cui ci stiamo avvicinando a un fuoco: metteremmo a rischio la nostra incolumità fisica.
Oltre a essere in relazione con fattori fisici, come nell’esempio, il dolore può essere la conseguenza di processi cognitivi ed emozionali. Infatti, gli studi dimostrano che lo stato emozionale influenza le caratteristiche e l’intensità di dolore percepita. Soggettivamente, il dolore è vissuto come un’emozione a connotazione negativa che ostacola qualsiasi attività psicologica. Può essere associato a rabbia, aggressività, paura, preoccupazione e, molto frequentemente, umore depresso. Questo è particolarmente vero nei casi di dolore cronico, in cui viene meno il comportamento auto-protettivo e i meccanismi neurobiologici di base sono più complessi.
Il dolore cronico è psicogeno quando la sintomatologia dolorosa non ha evidente causa organica ma è attribuibile a fattori psichici, ovvero a una sofferenza affettivo-emotiva. Secondo alcuni autori, il dolore cronico può essere l’espressione di una “depressione mascherata”, ovvero di un quadro depressivo con prevalente sintomatologia somatica.Le cause che porterebbero alla depressione sono ancora oggi poco chiare. In passato, gli studi suddividevano cause biologiche (“depressione endogena”) e psicologiche (depressione “esogena” o reattiva). Oggi i dati disponibili suggeriscono che la depressione sia l’esito di una complessa combinazione di fattori genetici, psicologici, e ambientali. Infatti, il ruolo di eventi psico-sociali stressanti come la morte di una persona cara o divorzi e separazioni è più riconosciuto.
Una possibile spiegazione del legame tra depressione e dolore è che, in particolari condizioni emotive, vi è un aumento della tensione muscolare, una scarsa mobilizzazione del corpo e l’assunzione di posture scorrette che si associano, quindi, ad algie muscolo-tensive. Tali condizioni, se cronicizzate, favoriscono l’insorgenza di algie con localizzazione muscolo-scheletrica, influenzando l’ipereccitabilità di recettori e fibre nervose contigue alla struttura articolare. È il caso, ad esempio, della cefalea muscolo-tensiva, del dolore temporo-mandibolare e del colon irritabile.
Se nella pratica medica vi è stata spesso la tendenza a distinguere la componente organica da quella psicogena del dolore, a livello neurobiologico è ormai assodato che i meccanismi del dolore vengono influenzati da entrambe le componenti. Infatti, pazienti con dolore cronico hanno una prevalenza di depressione significativamente maggiore.
A sua volta, è interessante notare che la depressione “rinforza” il dolore, aumentandone l’intensità. Dunque, il dolore può portare alla depressione e, d’altra parte, la depressione sensibilizza notevolmente l’individuo a provare dolore. La depressione può essere una manifestazione secondaria al dolore, ma è anche plausibile, da un punto di vista biologico, che uno stato di dolore possa favorire lo sviluppo della depressione attraverso alterazioni del sistema immunitario. La presenza di dolore comporta anche maggiore frequenza di ansia, fatica, stanchezza mentale e difficoltà di concentrazione.
In conclusione, depressione e dolore sono frequentemente associati, per cui il dolore può essere concepito come una componente della depressione e viceversa, e ciò appare di particolare rilevanza. Infatti, la psicoterapia e il trattamento con antidepressivi aiutano a lenire il dolore cronico. La psicoterapia può essere di considerevole utilità nei pazienti che soffrono di dolore cronico, per identificare tutte le dimensioni coinvolte (affettivo-emozionali, somatiche, cognitive e comportamentali) per una sua completa gestione, portando a un significativo miglioramento della qualità di vita.
Dott.ssa Ilaria Spoletini – Dott. Raffaele Pandolfo
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